Val Trebbia
Il fiume Trebbia, da cui prende il nome questa valle, nasce ai piedi del monte Prelà (provincia di Genova), entra nel territorio della provincia di Piacenza col comune di Ottone e prosegue nel piacentino lambendo l’Oltrepò Pavese. A circa 118 km dalla sorgente, sfocia nel Po nelle vicinanze di San Nicolò a Trebbia, frazione di Rottofreno (PC).
Le prime notizie storiche ci vengono dal neolitico, resti archeologici di un insediamento sono stati rinvenuti presso Travo, che ospita nella sede del comune un piccolo museo; ed anche nel villaggio del Groppo presso Bobbio, in parte i reperti si trovano nei musei della città ed in parte al museo archeologico di Genova a Pegli, anche per la parte riferita ai Liguri. La parte pianeggiante della valle vide la battaglia della Trebbia in cui, secondo il racconto dello storico romano Polibio, nel dicembre del 218 a.C. Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo. L’esercito dei cartaginesi, riuscì a bloccare la fanteria romana nell’alveo paludoso del torrente Luretta; la cavalleria numidica appoggiata dagli arceri fece strage dei soldati romani di cui solo un terzo riuscì a trovare scampo sull’altra sponda del fiume Trebbia. La storia di questa vallata è fortemente legata alla presenza del monastero di Bobbio, centro storico e culturale di primaria importanza, fondato nel VII secolo dal monaco irlandese San Colombano, anche in funzione di punto di controllo dei traffici per Roma attraverso la via degli Abati e da e verso il Mar Ligure. L’abbazia ospita nei locali dell’antico scriptorium un museo con testimonianze di epoca romana, medievale e rinascimentale. La valle ebbe, secondo la leggenda, un visitatore illustre: lo scrittore e Premio Nobel Ernest Hemingway. Durante la Seconda guerra mondiale, precisamente nell’anno 1945, transitando sia per la Val Trebbia che nella Val d’Aveto come corrispondente al seguito dell’esercito di liberazione, si dice abbia scritto sul proprio diario la seguente frase:«Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo». A ricordare l’importanza strategica che ebbe la Val Trebbia nei secoli, rimangono imponenti castelli.
Bobbio
Tra le principali località di villeggiatura del Piacentino
Già abitata nell’età della pietra, la zona di Bobbio vide insediamenti liguri, galli e, negli ultimi anni prima della nascita di Cristo, dopo sanguinose guerre e deportazioni, entrò definitivamente nell’orbita romana. Nel 614 il monaco irlandese Colombano vi costruì, con la protezione del re longobardo Agilulfo, un’abbazia che grazie al suo Scriptorium, ove i frati copiavano i codici, divenne un importante punto di riferimento per la cultura occidentale. La potenza incontrastata del monastero durò sino all’XI secolo, quando venne a scontrarsi con la nuova figura del vescovo conte e con i poteri comunali. Nei secoli XII e XIII la città fu campo di lotta per i violenti scontri tra impero e papato, e, più volte al suo interno per la contrapposizione tra guelfi e ghibellini. Nella prima metà del secolo XIV Bobbio divenne signoria dei Malaspina; fu poi dei Visconti, dei Dal Verme, dello Stato Milanese e degli Stati Sardi. Nel secolo scorso Bobbio fu capoluogo di provincia.
Calendasco
Centro agricolo e industriale dalle antiche origini medioevali
Situato sulla sponda sinistra del Trebbia, le sue origini sembrano risalire tra il X e l’XI secolo. Nel 1346 il borgo viene distrutto dai fuoriusciti piacentini, in seguito viene riedificato e nel 1372 trasformato in caposaldo contro le forze dei Visconti. Inserito nel ‘400 nella Contea della Valtidone attribuita agli Arcelli, passa poi ai Confalonieri e in seguito ad un fatto di sangue che vede l’uccisione del conte Ludovico Confalonieri da parte di Antonello De Rossi, amante della contessa Camilla; in seguito il borgo vedrà succedersi diversi casati come gli Zanardi Landi, i Benzoni e dal 1690 l’ambasciatore piacentino Fabio Perletti. Verso il 1800 la zona sviluppa anche un suo ruolo commerciale, in particolare dopo la costruzione del ponte sul Trebbia. Attualmente conserva il suo castello di origine trecentesca che ha seguito le sorti distruttive del luogo avvenuto nel 1346, poi riedificato nel 1372 e posto a baluardo nella lotta dei piacentini contro i Visconti.
Cerignale
Tappa significativa per una gita fuori porta in Val Trebbia
Cerignale nel medioevo fu feudo dei Malaspina che fecero costruire il Castello di Cariseto a difesa della zona. Nel 1500 fu conquistato dai Fieschi e poi dai Doria di Genova che rimasero fino all’epoca napoleonica. Dopo Napoleone le vicende di Cerignale sono legate alla storia degli altri centri della Val Trebbia, passati allo Stato Sardo e, dal 1923, alla provincia di Piacenza.
Coli
Piccolo centro montano in posizione panoramica
Nell’epoca medievale fu feudo prima della famiglia Nicelli, poi dei Visconti e successivamente dei Dal Verme. È solo dal 1923 territorio piacentino, fino allora rimase aggregato alla provincia di Pavia. Accoglieva sino a poco tempo fa l’unico ostello della gioventù della provincia, molto frequentato da numerosi giovani italiani e stranieri, oggi, però, purtroppo chiuso. La zona comunque maggiormente frequentata è la frazione di Perino, a metà strada tra Bobbio e Travo, che ha registrato un forte sviluppo del turismo residenziale. Vasti pascoli per ottimi formaggi e carni bovine pregiate sono le fonti di economia del paese, oltre alla viticoltura che produce l’apprezzato Trebbianino DOC.
Corte Brugnatella
Piccolo e suggestivo borgo che sorge a picco su uno sperone roccioso
La zona deve il nome alla famiglia dei Brugnatelli che un tempo era padrona del paese di Brugnello. Altri pensano alla derivazione di Brenno, condottiero gallo che avrebbe qui vissuto gli ultimi anni di vita, da cui Corte Brenadella e Brugnatella. Attraversata dalla strada che conduce a Genova e che si biforca nell’Alta Val Trebbia e nella Val d’Aveto, la zona fin dal passato è stata teatro di numerosi fatti storici. Nel 1164 Federico Barbarossa assegna il feudo e altri possedimenti ai Malaspina; da allora iniziò una grande opera di incastellamento che vide la costruzione di belle roccaforti quali quella di Brugnello e di Pieve di Montarsolo. Nella seconda metà del XIV sec. quest’ultimo cadde nelle mani della famiglia Pallavicino, in seguito a quella dei Visconti insieme al Castello di Brugnello e infine fu la volta dei Dal Verme.
Gossolengo
In località Settima venne ritrovato il celebre Fegato etrusco
Originariamente terra dei benedettini di S. Savino e dei monaci della Cattedrale, ricca di rivi e mulini, di cui restano ancora oggi evidenti testimonianze, dopo il Mille Gossolengo fu testimone di lotte fra nobili e popolani. Verso la fine del XII secolo fu eretto il Castello che visse, nei secoli seguenti, numerose battaglie e che, ciò nonostante, mantiene ancora oggi un ottimo stato di forma. La Chiesa parrocchiale di S. Quintino è stata invece costruita nel nostro secolo. Situato sulla destra del fiume, Gossolengo conta tre frazioni: Caratta, Quarto e Settima. Nel territorio sono stati rinvenuti oggetti antichissimi risalenti sino al Paleolitico e il reperto più importante è rappresentato dal famoso Fegato etrusco rinvenuto nel 1877 a Ciavernasco e databile al II sec. a.C.. Utile allora agli aruspici per interpretare i segni del cielo, il prezioso oggetto è attualmente conservato nel Museo Civico di Piacenza. Evidenti resti dimostrano ancora oggi le ripartizioni della terra e i toponimi, anche se le testimonianze documentate risalgono al IX secolo quando si cita Gossolengo nelle carte del Monastero di Bobbio. Il territorio fu secondo tali documenti costantemente legato ai conventi di Piacenza o alla Cattedrale, il cui Capitolo nel 1254 è definito padrone del territorio. Intorno alla metà del XVII secolo passò nelle mani del monastero di S. Sisto.
Gragnano Trebbiense
Stretto tra il torrente Luretta e le sponde del Trebbia
Inserito in una zona che fu del monastero piacentino di San Savino, Gragnano fu feudo nel XII secolo dei Malaspina, poi degli Scotti e dei Piccinino. Il suo castello è al centro di suggestivi racconti legati a fatti di stregoneria: il più noto è quello che vede coinvolto il duca Ranuccio I Farnese, signore di Parma e Piacenza, e una giovane ragazza che viveva alla corte di Parma. La leggenda vuole che la giovane, per non essere stata scelta come moglie e nemmeno ricompensata della dote di 10.000 scudi come era solito fare il duca con le sue amanti, si vendicò ricorrendo alle arti di donne esperte in stregoneria. Per questo ci fu un processo e le donne coinvolte furono rinchiuse nelle segrete del castello. La Chiesa parrocchiale costruita sulle rovine dell’antica San Michele tra il XVII e il XVIII secolo, conserva alcune opere pittoriche di alto interesse artistico. Una pala d’altare di fine Seicento, attribuita a Robert De Longe, raffigura San Michele; gli affreschi del 1938 sono di Cesare Sacchi e rappresentano la lotta tra San Michele e gli angeli ribelli e l’Annunciazione; inoltre è presente un dipinto di Trento Longaretti dedicato al santo.
Le frazioni di Gragnano Trebbiense sono Campremoldo Sopra, Campremoldo Sotto, Casaliggio e Gragnanino, località a pochi chilometri dal Santuario della Madonna del Pilastro costruito nel 1300 legato al culto di un’immagine mariana ritenuta miracolosa. Sul pilastro centrale, dove si dice apparve la Madonna, fu affrescata una Vergine con Bambino, e intorno ad esso si eresse un piccolo tempio.
Ottone
In estate il suo Borgo si anima di turisti
Anche la zona dove ora sorge il paese di Ottone (492 metri), come gran parte della Val Trebbia, in antichità fu abitata prima da popolazioni liguri e successivamente da tribù celtiche. La discesa di Annibale (III secolo a.C.) offrì agli abitanti di questi territori l’occasione per ostacolare l’avanzata romana ma quando il cartaginese fu sconfitto nulla poté fermare la presa di possesso della Valle da parte dei Romani. Nel corso del VI secolo subentrarono i Longobardi che penetrarono nella Valle favorendo la fondazione dell’Abbazia di Bobbio a cui assegnarono un consistente patrimonio terriero che comprendeva anche la zona di Ottone. Declinato il potere dell’Abbazia, Ottone entrò a far parte dei possedimenti della famiglia Malaspina che ne ottenne ufficiale investitura da Federico Barbarossa nel 1164 e seppe amministrare a lungo la vallata fino a quando dovette cedere alle pretese dei Comuni, primo fra tutti quello di Piacenza, che intendevano garantirsi una via per un regolare flusso di merci per e dal porto di Genova. Nel 1508 intanto il feudo di Ottone venne venduto dai Malaspina ai Fieschi che coinvolti nella congiura contro i Doria persero gran parte dei loro possedimenti a favore dei Doria stessi. Dal 1801 al 1804 la valle del Trebbia fu annessa alla Francia poi al Regno di Piemonte e dopo l’unità d’Italia appartenne alla provincia di Genova prima a quella di Pavia poi ed infine nel 1923 a quella di Piacenza.
Rivergaro
Meta di divertimento estivo per chi arriva da Piacenza e zone confinanti
Rivergaro è una nota località particolarmente apprezzata che richiama, dalla città e dalle limitrofe provincie, turisti del week end, animandosi particolarmente nella bella stagione quando le acque del fiume Trebbia e la brezza delle prime colline diventano elementi ideali per smaltire gli effetti devastanti della calura cittadina. Ma non solo: Rivergaro è anche luogo di evasione e di svago grazie ad una serie di iniziative che caratterizzano le serate estive, trasformandosi così, magicamente, da luogo operoso e produttivo di giorno con la sua fitta rete di attività artigianali e commerciali, a località viva e dinamica con forte connotazione tipica dei centri turistici. Grazie all’attività intensa e qualificata dell’Associazione Pro loco Tramballando che Rivergaro si pone ai vertici dei luoghi preferiti del territorio piacentino e limitrofo. Tra gli appuntamenti estivi di Rivergaro si segnalano RockinTrebbia in giugno, evento musicale organizzato da Tramballando come anche il mercatino del giovedì sera. La Pro loco è anche promotrice della Festa in Piazzetta che si svolge a metà luglio, con musica e specialità gastronomiche, come anche della Festa del Basul di settembre, tra le feste piacentine preferite e più frequentate.
Rottofreno
A San Nicolò ogni anno si svolge la sagra enogastronomica del Busslanein
Le notizie sull’origine del paese di Rottofreno sono piuttosto scarse, tuttavia è interessante ricostruire l’origine del suo toponimo. Il nome Rottofreno si dice derivi dal fatto che durante la battaglia del Trebbia tra romani e cartaginesi, il condottiero di questi ultimi, Annibale, sarebbe stato costretto a fermarsi nel paese per la rottura del morso del suo cavallo, di qui lo stemma del comune raffigurante la testa di cavallo con il morso rotto. Da un esame storico tuttavia dei documenti antichi in cui si parla del paese non è mai citato Rottofreno bensì Rotofredo nome di chiara origine germanica Rothfrid che significa “amico della gloria”. In un documento datato 4 giugno 996 si fa menzione del “locum e castrum Rotofredi”, già centro rurale importante ubicato ai margini della via Postumia confermando già all’epoca l’esistenza di un castello. Successivamente nel 1174 fra i possessi del celebre monastero di S. Michele della Chiusa, a Susa, è annoverata anche la chiesa di S. Michele e l’Ospedale di S. Elena di Rotofredo. Del castello si hanno notizie a partire dal secolo XVI quando assunse importanza strategica come difesa del ducato farnesiano. In esso nel 1544 vi si rifugiò Filippo Strozzi, costretto a desistere dal tentativo di occupare Milano in nome del re di Francia. Il castello subì gravi danni ad opera delle artiglierie nel corso della grande battaglia svoltasi nel 799 nei sui pressi. Riadattato sommariamente, in seguito non ebbe più funzioni militari. Interessante per maestosità e solennità è la chiesa parrocchiale sempre dedicata a S. Michele che sebbene costruita in epoca recente 1937-1954 su complesso progetto dell’architetto Pietro Berzolla, conserva pregevoli opere d’arte quali: via Crucis del 1804, sculture di Paolo Perotti e maestri valgardenesi, affreschi di Luciano Ricchetti, una statua lignea del 700 che rappresenta S. Elena e una lastra tombale del barone generale Barenklau proveniente dalla vecchia chiesa dove venne sepolto nel 1746 il comandante in capo dell’armata imperiale dopo essere caduto sul campo dell’aspra battaglia sostenuta al torrente Tidone contro le truppe franco-ispane.
Travo
Ottimo punto di partenza per chi vuole praticare trekking e scalate
La zona di Travo fu abitata fin dall’inizio del IV millennio a.C. al tempo in cui la cultura ligure stava succedendo a quella padana. Nell’epoca romana il territorio travese era mèta di pellegrinaggi da tutta Italia per la presenza di uno dei maggiori templi pagani: il Tempio di Minerva. La tradizione collocherebbe nel paese il luogo del martirio di S. Antonino, patrono di Piacenza. Intorno al IV sec. d.C. si narra l’esistenza della prima chiesa di Travo, la Basilica di S. Andrea, mentre la data dell’attuale chiesa di S. Antonino fa risalire all’XI-XII secolo. Dal dominio dei Malaspina il borgo passò al Comune di Piacenza nel XII sec.. Nel 1438 appartenne agli Anguissola che nel 1700 adibirono il castello a loro abitazione privata. Nel 1805 Travo fu scelto come sede di comune grazie alla sua particolare posizione e importanza nel passato. Nell’immediato dopoguerra il paese divenne noto anche in campo nazionale grazie alla presenza, nel suo territorio, di numerosi tipi di pietre, tra le quali spiccava per importanza quella litografica, utilizzata da varie case editrici. Le pietre cavate in varie zone del comune venivano lavorate in uno stabilimento ancora oggi denominato Fabbrica. Da Travo, risalendo la strada per Bobbiano, si può raggiungere la grande roccia di Perduca, e la Pietra Parcellara, poderoso roccione di serpentino nero, alla cui vetta, a 836 metri, si giunge arrampicandosi lungo una ripida gradinata scavata nella roccia viva.
Zerba
Comune meno popolato e più occidentale dell'Emilia Romagna
Zerba è il più alto capoluogo della provincia di Piacenza disteso a 906 m.s.m. sul fianco Sud del monte Lesima (1724 m), che imponente lo ripara dai venti del Nord. Di fronte si impenna il Monte Alfeo, ad Ovest il Monte Carmo e il Cavalmurone, a Nord-Ovest il Monte Chiappo completano la cerchia di montagne che contribuiscono a far si che Zerba abbia un clima eccezionalmente mite malgrado l’altitudine. Il torrente Boreca dà il nome alla breve valle, profonda e suggestiva. La storia della VaI Boreca non si discosta da quella dell’alta Val Trebbia e mancano sia le notizie certe sia i monumenti a testimoniare le varie epoche; fatta eccezione per il rudere del torrione del XIII-XIV secolo a Zerba e delle armille conservate al museo archeologico del Castello Sforzesco di Milano. Solo la ricca toponomastica ci suggerisce il nostro passato e le antiche strade mulattiere restano a testimoniare gli scambi commerciali e culturali (dialetti, usi, costumi) intercorsi fra gli abitanti di confini delle Antiche Marche. Oggi i paesi della Valle sono costituiti quasi esclusivamente di seconde case. A Capannette di Pey sono sorti alcuni insediamenti turistici. Molti i possibili itinerari naturalistici lungo i sentieri attraverso i boschi che ne coprono i fianchi, fino alle praterie uniche e ancora esistenti ricche di fiori e arbusti quali le orchidee, il giglio giallo, la negritella, la genziana, il botton d’oro e mille altri ancora. Che dire poi dei colori autunnali che una vegetazione così varia presenta in autunno o della fioritura di primavera che va dal giallo del maggiociondolo al bianco rosato dei ciliegi selvatici?