Benvenuti a Piacenza
Il Duomo
Magistrale esempio di architettura romanica
La Cattedrale di Piacenza, importante esempio di architettura romanica in Italia, è stata costruita tra l’anno 1122 e il 1233. Tra il 1122 e il 1160 vennero costruite l’area absidale, con la cripta, il transetto e le navate laterali. La facciata e la cupola, invece, furono terminate successivamente. La costruzione del campanile si protrasse sino al 1333 e, nel 1341, venne “incoronato” con una scultura in rame dorato raffigurante un angelo, detta Angil dal Dom.
Nei secoli successivi, la chiesa venne arricchita con decorazioni, cappelle e altari. Tutte queste aggiunte furono eliminate dal restauro condotto tra il 1897 e il 1902 per volere del vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini. La facciata a capanna è in marmo rosa veronese e arenaria. L’interno è a croce latina, in tre navate, divise tra loro da venticinque massicci pilastri cilindrici. Il transetto è anch’esso suddiviso in tre navate. All’incrocio c’è il tiburio ottagonale, decorato con affreschi secenteschi. Alcuni dei pilastri furono costruiti a carico dei paratici, le corporazioni di mestiere, o di singoli cittadini. È anche scritto in latino il nome del paratico, quasi a mo’ di proprietario del pilastro: Haec est columna furnariorum. La cripta raccoglie le reliquie di Santa Giustina, alla quale era dedicata la prima cattedrale cittadina, crollata in seguito al grande terremoto del 1117. Il Duomo fu proprio costruito sulle macerie del preesistente luogo di culto. L’interno è decorato da sontuosi affreschi, realizzati tra i secoli XIV e XVI, da Camillo Procaccini e da Ludovico Carracci. Quelli seicenteschi che impreziosiscono la cupola sono opera di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone e di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino.
Palazzo Gotico
Il fulcro centrale della piazza
Palazzo Comunale della città, detto il Gotico: l’edificio, rimasto incompiuto (si pensa, infatti, che la facciata visibile dovesse essere soltanto un lato dell’intera costruzione), domina ora lo spazio principale del centro cittadino, piazza Cavalli, con le statue equestri di Ranuccio ed Alessandro Farnese.
Il palazzo fu voluto nel 1281 da Alberto Scoto, capo dei mercanti e signore ghibellino della città. Gli architetti che seguirono i lavori furono i piacentini Pietro da Cagnano, Negro de Negri, Gherardo Campanaro e Pietro da Borghetto. L’edificio ricorda nell’aspetto i tradizionali palazzi comunali dell’Italia settentrionale, col porticato basso per le adunanze popolari e i solenni finestroni con balconata per dar luce al grande ed unico salone superiore che l’11 giugno 1351 ospitò l’illustre poeta Francesco Petrarca ed in data 18 febbraio 1561 venne utilizzato come sede per i festeggiamenti del carnevale che quell’anno rimase famoso per le giostre e feste straordinarie indette dal duca Ottavio Farnese. La cornice ornata di archetti, la merlatura ghibellina a coda di rondine, la torretta centrale che racchiude il campanone e le due torrette laterali, sono insigni simboli dell’architettura civile medioevale. Una Madonna col Bambino, del secolo XIII, un tempo posata in una nicchia della facciata, è ora conservata ai Musei Civici di Palazzo Farnese e sostituita da una copia.
Palazzo Farnese
Una piacevole scoperta
Importante edificio la cui costruzione venne iniziata nel 1568 su desiderio di Ottavio Farnese (secondo duca di Parma e Piacenza) e di sua moglie, Margherita d’Austria, figlia di Carlo I di Spagna. Il progetto iniziale venne elaborato da Francesco Paciotto da Urbino e il cantiere fu affidato ai maestri murari
Giovanni Bernardo Dalla Valle, Giovanni Lavezzari e Bernardo Panizzari detto il Caramosino. Il progetto venne poi modificato nel 1589, quando l’architetto Jacopo Barozzi detto il Vignola, ne prese parte, modificandone l’alzata. Il palazzo non fu terminato poiché i lavori subirono una lunga pausa nel 1568 per mancanza di fondi e per assenza di una direzione competente ma anche per il disinteressamento di Margherita d’Austria. Soltanto nel 1588 riaprirono i cantieri su interesse di Alessandro Farnese e dei figli Ranuccio I Farnese (1670), e Ranuccio II Farnese (1690) che si adoperarono ad ornare sale con splendide decorazioni e arredamenti preziosi. Dal 1731, anno di decesso dell’ultimo duca della dinastia Farnese, inizia un lungo periodo di decadenza che terminerà solo nel 1909 quando iniziarono le prime opere di restauro. Oggi ospita varie rassegne culturali ed è sede del Museo Civico.
Palazzo del Governatore
Una meraviglia dall'impronta neo-classica
Edificato nel 1787 su progetto dell’architetto Lotario Tomba, ha uno sviluppo orizzontale e presenta un repertorio neo-classico: bugnato liscio orizzontale, finestre con cornici a timpano, balconata con statue di divinità mitologiche e vasi decorativi. Il loggiato al piano terra, oggi adibito ad usi commerciali, era aperto. Sulla facciata a sinistra è applicata una meridiana solare e a destra un calendario perpetuo installati (1793) da G. F. Barattieri di S. Pietro, fisico piacentino studioso di Newton e di meccanica. Attualmente ospita la Camera di Commercio (è possibile visitare questa parte e il cortile interno).
Palazzo dei Mercanti
Attuale sede degli Uffici Comunali
Situato nella piazzetta omonima ospita gli Uffici Comunali. Fu costruito tra il 1676 e il 1697 su progetto dell’architetto piacentino Angelo Caccialupi commissionatogli dal Collegio dei Mercanti, istituzione presente in città dal medioevo al periodo napoleonico.
L’edificio si articola su tre piani: al piano terreno, in un elegante loggiato le colonne binate reggono arcate a tutto sesto, a cui corrispondono ai piani superiori due ordini di paraste intervallate da altrettanti ordini di finestre. La facciata è alquanto insolita per la presenza del portico, determinata dalla funzione pubblica del palazzo e quindi dalla necessità di uno spazio aperto riparato; da sottolineare anche la sovrapposizione degli ordini anziché l’uso di un unico ordine gigante e la conseguente suddivisione con fasce marcapiano e l’intonaco rosso, particolari che sono in contrasto con il tipo di facciata seicentesca in cotto liscio, senza decorazioni, presente in altri palazzi coevi. Durante la dominazione francese, soppresse le antiche corporazioni, il palazzo fu sede del Collegio Elettorale, del Tribunale del Commercio e del Teatro della Filodrammatica.
Piazza Cavalli
Tutto il fascino delle statue bronzee del Mochi
Piazza duecentesca su cui sorgono anche il Palazzo Gotico e la Chiesa di San Francesco da cui parte via XX settembre, è da sempre il centro della città e della sua vita, ricalca, probabilmente, l’originario impianto dell’accampamento romano nella fattispecie il foro con le vie che si dipartono rettilinee e con incroci ad angolo retto. Prende il nome dalle due statue equestri raffiguranti Ranuccio e Alessandro Farnese, realizzate da Francesco Mochi da Montevarchi tra il 1612 e il 1628, poste ai lati opposti della piazza, sono diventate uno dei simboli della città insieme alla piazza stessa e al Palazzo Gotico.
Chiesa di San Francesco
Sobria architettura cistercense
Costruita tra il 1278 e il 1363 per volontà del ghibellino Umbertino Landi, è in stile gotico lombardo con facciata in cotto. Furono incaricati della costruzione i Frati Minori che in breve tempo edificarono la chiesa e monastero annesso. L’evento più importante collegato alla chiesa è, nel 1848, la proclamazione, avvenuta qui con plebiscito, dell’annessione di Piacenza al Regno di Sardegna. Più volte restaurata, San Francesco presenta caratteristiche che l’avvicinano alla omonima basilica bolognese, in cui si sentono gli influssi dell’architettura monastica borgognona cistercense, come la planimetria absidale con cappelle radiali. Presenta in facciata due contrafforti, rosone, cuspide e guglie, nonché un portale mediano quattrocentesco (più tardi i laterali), e sui fianchi poderosi archi rampanti. Sul lato destro si trova il chiostro, di cui è rimasto solo un porticato in seguito alla demolizione quasi totale del convento ad opera del Comune intorno agli anni 40 del XX secolo. La chiesa conserva all’interno sepolture di uomini illustri (come il patriota Giuseppe Manfredi, primo presidente del Senato del Regno d’Italia, morto nel 1918), dipinti, sculture e resti di affreschi del XIV e XV secolo. Il portale mediano della basilica reca al sommo una lunetta con rilievo di San Francesco stigmatizzato, e all’interno, sulla parete destra del deambulatorio, v’è un bassorilievo con Rettore in cattedra e frati, eseguiti nella bottega di Giovanni Antonio Amodeo intorno al 1490. La cupola della cappella dell’Immacolata è affrescata da Giovanni Battista Trotti detto “il Malosso” (1597).
Basilica di Sant'Antonino
Omaggio al santo patrono della città
La Basilica di Sant’Antonino, patrono di Piacenza, è un esempio di architettura romanica ed è caratterizzata da una grossa torre ottagonale. Fu voluta da san Vittore, il primo vescovo della città, intorno al 350 e fu ultimata nel 375; conserva le reliquie di Antonino, martire cristiano ucciso presso Travo, in Val Trebbia. Fu sottoposta a varie opere di ristrutturazione in seguito ai danneggiamenti delle popolazioni barbariche calate nel Nord Italia. A lato vi è un chiostro edificato nel tardo Quattrocento. Nell’869 vi fu sepolto il re di Lotaringia, Lotario II. Nel 1183 ospitò i delegati della Lega Lombarda e l’imperatore Federico Barbarossa che vi si riunirono per firmare i preliminari della pace di Costanza. Tra i dipinti e gli affreschi sono da menzionare quelli di Camillo Gervasetti del 1622 nonché le 5 tele con “Scene della vita di Sant’Antonino” del De Longe (1693).
Basilica di San Giovanni in Canale
Una bellezza nascosta
La Basilica di San Giovanni in Canale è un tempio fondato nel 1220 dai Domenicani. Intitolata inizialmente a S. Giovanni verrà poi detta in Canale a ricordo dei canali che un tempo alimentavano gli orti e azionavano i numerosi mulini della zona. Intorno al 1522 la chiesa fu sottoposta a intense modifiche, forse attuate dall’architetto Tramello che comportarono l’arretramento della parte absidale, la copertura a volte del soffitto (in origine a capriate) e aggiunte decorative sulla facciata. Durante il XVII e il XVIII secolo si abbellirono le pareti interne con stucchi e nel 1730 Giuliano Mozzani realizzò un nuovo altare maggiore. Agli inizi del XIX secolo fu poi eretta in fondo alla navata sinistra, la vasta cappella del Rosario, su disegno dell’architetto Tombae con la consulenza di Antonio Canova.
Espulsi i domenicani il complesso subì nel corso dell’Ottocento, alterne fortune che influirono negativamente sulle sue strutture. Nella prima metà del nostro secolo comunque, operazioni di restauro provvidero definitivamente al recupero delle originarie sagome gotiche e rinascimentali. Uscendo dalla cappella si attraversa la sagrestia raggiungendo il chiostro dell’antico convento dei domenicani, oggi solo parzialmente sfuggito alla rovina del tempo. Qui si ritrovano alcuni frammenti di affreschi recuperati di recente e un rilievo sepolcrale dedicato al chirurgo Guglielmo da Saliceto, eseguito nel XVI secolo da un autore affine ai modi dell’Amadeo. Poco più avanti è visibile un altro monumento sepolcrale della famiglia Guadagnabene (1365), ricchi commercianti e banchieri di Piacenza, che reca sul lato anteriore la raffigurazione dell’Agnello Mistico, sormontata da un’edicola a colonnine binate. Sulla sinistra si estende il duecentesco chiostro dei templari con capitelli romanici.
Basilica di San Savino
Un vero e proprio gioiello da scoprire
La Basilica di San Savino, dedicata al secondo vescovo cittadino dopo San Vittore conserva le spoglie del santo in un’urna all’interno dell’altare principale. Probabilmente fondata nel 903 e poi distrutta dagli Ungari, la basilica oggi esistente venne edificata tra la fine dell’XI ed il principio del XII secolo ad opera del vescovo Sigifredo. L’edificio subì molti rimaneggiamenti nel corso del tempo: distruzione dei muri perimetrali romanici ed aggiunte barocche (come la facciata del 1721 addossata all’originale) tra il 1631 ed il 1637. Un ripristino dell’aspetto romanico della struttura e la demolizione delle aggiunte barocche avvenne ad iniziare dal 1902-1903 ad opera di Ettore Martini. Nel 2004, inizia una serie di interventi di restauro, sotto la guida dell’architetto piacentino Carlo Beltrami: il primo, alla copertura della basilica e, sempre nello stesso anno, venne progettato un nuovo impianto di illuminazione. Nel 2006 viene restaurata la Cappella della Medaglia Miracolosa (unica visibile, dopo gli interventi di inizio 1900).
Durante i lavori conservativi, eseguiti dalla restauratrice piacentina Lucia Bravi, sempre sotto la direzione del Beltrami, ritornano alla luce dei pregevoli affreschi, databili al XVII secolo e attribuibili a Giovanni Evangelista Draghi già pittore di corte dei Farnese, signori di Parma e Piacenza. I dipinti rappresentano scene della Bibbia, in particolare riferite a Mosè. In un pennacchio, è possibile notare l’immagine di S. Carlo Borromeo. Fra il 2006 e il 2007 si interviene sull’antica canonica e sull’edificio dell’oratorio (quest’ultimo del XX secolo), sempre sotto la guida del Beltrami. Nel presbiterio si trova un mosaico policromo della fine dell’XI ed il principio del XII secolo, un altro della stessa epoca è presente nella cripta e uno ancora nella navata sinistra. Lo stile romanico lombardo caratterizza gli interni ornati da raffinati capitelli antropomorfi, zoomorfi, con figure mostruose e vegetali. Sopra l’altare maggiore del 1764 è collocato un crocefisso ligneo dell’inizio del XII secolo, il suo autore è ignoto. Nella cripta, ai lati, entro nicchie, quattro santi scolpiti nel 1481 denotano chiari influssi della scuola dell’Amadeo. Sono presenti inoltre numerosi mosaici riguardanti i segni zodiacali. La basilica ospita un pregevole organo a canne ottocentesco, costruito da Lingiardi, ampliato da Tamburini e restaurato.
Chiesa di San Sisto
Una gemma rinascimentale
La Chiesa di San Sisto è un’altra basilica rinascimentale che vanta un prezioso coro ligneo del 1514. I lavori iniziarono intorno al XIV secolo dove antecedentemente si trovava un tempio edificato nell’874 per volere dell’imperatrice Angilberga, moglie di Ludovico II il Giovane ed è la prima opera religiosa dell’architetto Alessio Tramello nella sua maturità.
Ospita la copia del capolavoro di Raffaello Sanzio, la Madonna Sistina: l’originale venne venduto dai benedettini nel 1754 ad Augusto III re di Polonia ed elettore di Sassonia. Ancora oggi la Madonna Sistina, con i suoi angioletti, è l’ambasciatrice più conosciuta della Gemäldegalerie di Dresda ove rappresenta uno dei pezzi più pregiati. La basilica di San Sisto, per secoli il principale monastero benedettino della città, sta tornando ad appropriarsi di capitoli importanti della sua storia, trascurati in passato a causa delle traversie, prima napoleoniche e poi post-unitarie, dalle quali il monumentale complesso ne è uscito separato in due. La quasi totalità del monastero risulta oggi occupata dai militari del Secondo Reggimento Genio Pontieri e gli spazi in uso a San Sisto, trasformata in parrocchia, comprendono la chiesa e una piccola parte dell’edificio un tempo dimora dei benedettini.
Basilica di Santa Maria di Campagna
La chiesa del Guercino e del Pordenone
La rinascimentale Basilica di Santa Maria di Campagna si trova in piazzale delle Crociate, così chiamato perché in questo luogo papa Urbano II bandì la prima crociata nel 1095. Fu edificata tra il 1522 ed il 1528 per poter conservare più degnamente una Madonna lignea policroma, detta “della Campagnola” venerata come miracolosa. La pianta era inizialmente a croce greca, ma successivamente assunse una forma a croce latina rovesciata in seguito all’allungamento del presbiterio. La chiesa è facilmente riconoscibile grazie all’imponente tiburio ottagonale e alla lanterna. Splendidi gli affreschi opera di Giovanni Antonio Sacchi detto il Pordenone che abbelliscono la cupola e due cappelle poste sul lato sinistro. Altre opere sono di Galeazzo, Antonio, Giulio e Bernardino Campi, Camillo Procaccini, Guercino, il Malosso, De Longe, Bibbiena, Stern e Avanzini. La chiesa rappresenta forse il maggior capolavoro raggiunto dall’architetto piacentino Alessio Tramello. Contiene inoltre due pregevoli organi a canne fabbricati dai Serassi di Bergamo. Quello più grande è collocato in cornu Epistolae, costruito tra il 1825 e il 1838, consta di due tastiere, ciascuna di 69 tasti (Do-1/Do6) corrispondenti la prima all’Organo Eco e la seconda al Grand’Organo. Lo strumento è stato progettato del famoso organista e compositore dell’Ottocento musicale organistico italiano Padre Davide da Bergamo. Invece l’organo più piccolo, collocato nella navata sul pavimento, è stato costruito nel 1836 ed era in origine strumento di “casa” dei Serassi collocato nella basilica nel 1991.
Teatro Municipale
Trae ispirazione dal Teatro Alla Scala di Milano
La prima pietra del nuovo teatro venne posata dall’amministratore generale del ducato Moreau de Saint-Méry, in nome della Francia, per poi essere inaugurato nel 1804. Il progetto del teatro si deve all’architetto Lotario Tomba e fu voluto da una società di nobili piacentini costituitasi a tale scopo nel 1803. La facciata rielaborata nel 1830 da Alessandro Sanquirico, lo scenografo scaligero autore anche delle decorazioni interne, si ispira a quella del Piermarini della Scala di Milano. Sopra le porte della balconata in pietra del primo piano spiccano i bassorilievi raffiguranti le Allegorie dei generi teatrali di Alessandro Pettinati. La pianta è a tre quarti di ellisse per meglio rispondere alle esigenze acustiche ed ottiche. La soluzione strutturale adottata dal Tomba è ad alveare “all’italiana” capace di sfruttare lo spazio della cavea, attraverso la creazione di numerosi palchetti, per incrementare i posti per gli spettatori. L’aspetto attuale si deve a una riorganizzazione di metà ottocento, che ha conferito uno splendore di gusto romantico alla sala grazie ai velluti rossi e agli ornamenti dorati. Gli affreschi nella volta al di sopra della platea e il motivo a traforo in stucco sono opera di Girolamo Magnani. Negli ultimi decenni il Teatro Municipale è stato sottoposto a numerosi lavori di restauro, ricavandovi, nella parte superiore, la spaziosa Sala degli Scenografi.
Teatro Filodrammatici
Favolosa facciata in Stile Liberty
L’edificio di via Santa Franca, che nel 1904 fu assegnato alla Società Filodrammatica Piacentina, fu costruito nel cinquecento e svolse, nei secoli, funzioni ben diverse. La sua origine risale al 1549 quando le monache cistercensi di Santa Franca avviarono la costruzione di una chiesa all’incrocio tra via San Siro e via Solferino (l’attuale via Santa Franca), dove poter trasportare il corpo della loro patrona. La chiesa era a pianta basilicale con una sola navata coperta da una volta a botte. Di fianco alla chiesa fu realizzato il convento per le monache attualmente trasformato in sede del Conservatorio e dedicato al musicista piacentino Giuseppe Nicolini. In seguito alla soppressione del convento ordinata da Napoleone, l’edificio – comprensivo di chiesa e monastero – passò sotto l’egida del demanio, sino a quando Maria Luigia d’Austria lo concesse al Comune di Piacenza che lo destinò a usi militari. In seguito fu adibito a sede di una scuola di musica prima e di una tipografia poi. Fu nei primi anni del ‘900 che la ex chiesa di Santa Franca fu convertita in teatro, con l’inserimento di una platea con loggiato e un ampio palcoscenico. La facciata, in stile liberty, è opera di Gazzola. Il tema decorativo delle linee curve che caratterizza l’esterno, definito ad “ali di farfalla” si accompagna ai portoni e alle parti di ferro battuto. Il gusto degli interni appare più ottocentesco: delicate decorazioni floreali attraversano tutta la sala, dall’arco di proscenio al soffitto, illuminata da una doppia fila di palloncini dorati con un motivo a foglie di pungitopo. Attualmente il teatro può accogliere poco meno di 300 spettatori.
LUOGHI D'INTERESSE
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