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Luoghi storici e Castelli

Grazzano Visconti

Il suono armonioso dell'acqua vi accompagnerà lungo tutto il percorso

Grazzano ViscontiGrazzano Visconti fu ideato e realizzato agli inizi del 1900 dal duca Giuseppe Visconti di Modrone con raffinato gusto scenografico e grande ricercatezza nei particolari e nelle decorazioni. Antichi documenti testimoniano l’esistenza di un centro abitato nel 1300 ed infatti il nome Grazzano deriverebbe da un tale “Graccus Graccianum”, proprietario, in quegli anni lontani, di terre in questa località. Verso la fine del 1400, Gian Galeazzo Visconti, con un editto a Pavia, concesse alla figlia naturale Beatrice, già sposa del nobile piacentino Giovanni Anguissola, il permesso di costruire un Castello, che nei secoli seguenti fu teatro di diversi fatti d’armi, in quanto feudo dei nobili Anguissola. Questa importante famiglia piacentina mantenne il possesso del maniero sin al 1884, quando la contessa Fanny, nata Visconti e sposata Anguissola, perse il marito e l’unico figlio lasciando i beni al fratello Guido Visconti, del ramo della Contea Milanese di Modrone. Per opera del duca Giuseppe Visconti, il “Biscione” ritorna a Grazzano ed il borgo, da un nucleo di catapecchie e vecchie stalle limitrofe ad un castello in rovina, diventa un villaggio in stile neomedievale. Le torri del Castello assumono l’imponenza tipica della fortezza viscontea, logge e camminamenti si completano di merlature ghibelline, le facciate in mattoni diventano più armoniche e severe con graffiti e decorazioni caratteristiche del gusto lombardo. Il giardino all’italiana posto davanti all’ingresso principale sembra invitare il visitatore. La simmetria delle due zone, separate dall’ampio viale in ghiaia, parla di armoniosa serenità ma la diversa composizione dei due parterre ricorda che il sale della vita è la fantasia: sul lato sinistro le statue delle 4 stagioni circondano un verde spazio libero centrale che attira l’attenzione su due cumuli di palle da cannone; al centro del parterre di destra si trova una fontana a pianta ottagonale, realizzata con mattoni coperti con lastre di beola e decorata da piccole statue di leoni in tufo; al centro della fontana, una statua in marmo bianco raffigura Orfeo. A primavera, un intenso profumo di rose ci accompagna verso il parco paesaggistico, che si sviluppa ai lati con vialetti sinuosi ombreggiati da tassi, pioppi, tigli. E lo spettacolo si fa scenografico sul retro del castello, dove un’esedra in muratura, con colonne che si alternano a statue e vasi, delimita una vasca barocca, dal disegno mistilineo. Il suono dell’acqua percorre tutto il parco, ricco di fontane ma anche di piccoli fossati che corrono paralleli alle aiuole, lungo i viali o dentro il bosco. Oltrepassata la grande fontana mistilinea, un altro viale, in asse con il principale, si inoltra verso il fondo, bordato da siepi di carpini e ligustro e arricchito da una lunga aiuola centrale, decorata da tassi forgiati a cono. Si giunge così al belvedere, affacciato sulla campagna e ornato da una statua di Apollo. Piegando a sinistra, un passaggio arcuato nella siepe di carpini porta alla deliziosa casetta dei bambini (voluta dal conte Giuseppe per i giochi delle due figlie minori, Uberta e Nane), mentre più avanti due sfingi indicano l’ingresso al labirinto. Il parco invita a passeggiare, lasciando il percorso principale e scegliendo i viali paralleli, di platani e bagolari per poi sostare in una panchina di pietra e ascoltare il respiro del giardino.

Velleia Romana

La "Pompei" del Nord Italia

Velleia RomanaAlcuni esperti hanno definito i ruderi del municipium romano di Velleia come la “Pompei del Nord Italia”. Questo attributo sembra, a prima vista, un pò esagerato, ma quando la osservi dall’alto dei verdi e dolci poggi che la circondano, e rifletti sul fatto che anche “lei” è stata probabilmente sepolta, all’istante visualizzi una certa affinità con la famosa Pompei ed immediatamente il parallelo diventa plausibile. Velleia Romana si trova a 460 metri sul livello del mare nell’amena Valle del Chero. Il nome deriva dalla tribù ligure chiamata Veleiates, che popolava questa zona. Costruita sull’area di un agglomerato protostorico, Velleia fu prospero municipio romano ed importante capoluogo amministrativo di una vasta area collinare e montana confinante tra Parma, Piacenza, Libarna (Serravalle Scrivia) e Lucca. La presenza nel territorio di acque saline, che i romani hanno sempre saputo sfruttare con ingegno, aiutò senz’altro lo sviluppo urbano in cui è possibile individuare vari edifici termali.
Velleia, dichiarata città libera nel 42 d.C., ottenendo quindi la cittadinanza romana con pieno diritto e la prerogativa di scegliere i propri magistrati, fiorì durante i primi due secoli dell’età imperiale, ma alcuni reperti trovati in sito indicano che la città era ancora assai importante fino alla seconda metà del III secolo d.C., a cui seguì un lento declino sino al V secolo. Poi l’oblìo assoluto. Passarono così parecchi secoli prima di tornare di nuovo alla luce. Gli scavi di Velleia iniziarono nel 1760, sotto gli auspici di don Filippo di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla, sul luogo dove, nel 1747, era stato rinvenuto un importante reperto archeologico: la famosa Tabula Alimentaria Traiana, la più grande tavola scritta in bronzo di tutta l’antichità romana (1,50 x 3 metri) che era una specie di catasto fondiario. Su di essa vi erano annoverati moltissimi nomi di proprietari terrieri, l’ubicazione dei fondi e il loro valore in sesterzi. Questo importantissimo monumento antico andò quasi perso quando fu spaccato in vari pezzi poi smerciati a dei fonditori; per fortuna furono ricuperati prima che fossero messi nelle fornaci! Purtroppo ben altri preziosi oggetti furono, a quel tempo, trafugati e liquefatti e di conseguenza andati perduti e con essi l’abilità di avere una più profonda conoscenza della storia di Velleia. Il piano urbanistico della città di Velleia è distribuito su una serie di terrazze lungo il “pendìo boreale del poggio” dei monti Morìa e Rovinasso. Questa zona appenninica, come d’altronde tantissime altre dell’Appennino, è conosciuta geologicamente per la sua tendenza a movimenti franosi, e molti esperti spiegano appunto che il declino e la fine di Velleia fu causata da una grande frana o da una serie di smottamenti lungo la costa del monte sovrastante. Tra i vari monumenti venuti alla luce troviamo le terme, il foro, con un bel lastricato in arenaria, la basilica, a pianta rettangolare e a navata unica dov’era collocata la celebre Tabula Alimentaria, il grande quartiere abitativo, e a poca distanza i resti di un edificio a pianta circolare identificato come serbatoio d’acqua. Durante la stagione estiva, queste antiche rovine di Velleia fanno da mirabile e suggestiva coreografia alle ormai consuete rappresentazioni teatrali classiche. All’interno dell’area archeologica è stato allestito un Antiquarium dove sono conservati calchi della Tabula Alimentaria Traiana e della tavola bronzea contenente la lex de Gallia Cisalpina, come pure corredi relativi alle sepolture a cremazioni romane, elementi architettonici e d’arredo. La zona archeologica di Velleia, una delle più importanti dell’Emilia Romagna e ancora soggetta a degli studi di approfondimento e di restauro, è un’affascinante meta per coloro che vogliono scoprire un posto insolito, direi quasi mistico, e al di fuori del turismo di massa.

Il Castello Malaspina-Dal Verme a Bobbio

Custode di affascinanti leggende e storie di fantasmi

Il Castello Malaspina Dal Verme a BobbioIl Castello Malaspina-Dal Verme di Bobbio è una possente costruzione quadrangolare situata all’interno dell’abitato, in posizione elevata nella parte alta del paese e sopra al parco omonimo. Di proprietà dello Stato, è in consegna al Polo Museale dell’Emilia-Romagna del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ed è inserito nel circuito dell’Associazione dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza. Il borgo di Bobbio cominciò ad essere fortificato, con la costruzione di mura, nel XIII secolo, un documento del 1219 nomina una braida del Castello. La costruzione del fortilizio, come lo vediamo oggi, si deve a Corradino Malaspina nei primi anni del Trecento. Venne edificato di fianco alla Basilica di San Pietro, che era stata costruita prima dell’arrivo di san Colombano da un ignoto missionario che evangelizzò il primitivo borgo romano. La chiesetta portava la dedicazione a San Pietro, e Colombano nel 614 la trovò quasi in rovina così, dopo averla restaurata, la scelse come chiesa cenobiale intorno alla quale crebbe il primitivo monastero. Nel turbolento periodo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini il castello fu presidio dei Guelfi, vi si rifugiavano i nobili in fuga dagli assalti portati dal Comune di Piacenza (Ghibellino) ai castelli della val Trebbia. Nel 1342 diviene possesso dei Visconti di Milano, nel 1413 venne conquistato dagli Anguissola di Travo per un solo anno, ritornò ai Visconti che nel 1436 assegnarono il castello con il titolo di conte ai Dal Verme che ne mantennero il possesso con alterne vicende fino alla soppressione del feudalesimo. La struttura trascurata, che cominciava ad andare in rovina fu venduta nel 1814 a Paolo dalla Cella e dai suoi eredi ceduta allo stato nel 1956. La torre del vescovo è la parte più antica, costruita dopo il 1014 vicino alla Basilica di San Pietro, probabilmente torre campanaria poi adattata a scopi difensivi. Il Castello è costituito da un massiccio mastio a base rettangolare a cui sono collegate una torretta rotonda, una quadrata e altri piccoli edifici, l’alloggio delle guardie e uno di recente costruzione, molto più bassi del mastio. Tutte le costruzioni sono in pietra con inserti in laterizio, hanno finestre piccole e sono dotate tutte di tetti in coppi. Rimangono le tracce di due ingressi dotati di ponte levatoio, anticamente solo l’ingresso di nord-ovest dava l’accesso al mastio. Il mastio ha cinque piani con locali con il soffitto a botte e pavimenti in legno intarsiato; i primi tre ad uso abitativo, il quarto per l’alloggio delle truppe e l’ultimo per le manovre difensive, consiste in un sottotetto retto da quattro pilastri oggi illuminato da 18 finestre di recente apertura, in origine vi erano solo feritoie strombate. Due erano le cinte murarie, la più interna ha forma quadrangolare e risulta essere costruita su un terrapieno che mantiene il Castello in posizione soprelevata. Oggi della cinta muraria esterna, abbattuta nel 1858, non rimane traccia. Dalle piante settecentesche risulta che il maniero era collegato a una cinta muraria esterna dotata di porte fortificate, che al suo interno aveva altre due torri: il torrino e la torre di Primatello. Si narra la leggenda del pozzo dei coltelli, ubicato presso il Castello nei sotterranei della torre circolare di sud-est, oggi riempito e chiuso; si sarebbe trattato di un pozzo con il condotto rivestito da numerosissime lame affilate, sporgenti e messe orizzontalmente e comunicante con una segreta senza via di uscita. Chi ci finisse dentro non è dato a sapere, verosimilmente nemici del signore e gente sgradita, ma si narra anche di giovani donne rapite dai vari castellani. Nei racconti anche degli ultimi proprietari del Castello si fa riferimento al fatto che coloro che venivano scaraventati nel pozzo preferissero buttarsi contro le lame sui bordi al fine di evitare l’agonia nella segreta. Si narra pure di “fantasmi”, c’è chi giura di averli visti sopra le mura, forse dei condannati a questo supplizio.

Il Castello di Borgonovo Val Tidone

Belle architetture e notevoli testimonianze medioevali

Il Castello di Borgonovo Val Tidone è una fortificazione dell’omonimo paese situato nel centro dell’abitato. L’Oppidun Borgonuovo fu fondato nel 1196 dal Comune di Piacenza per difendere il confine occidentale dei suoi territori, dotato di rocca, torri e cinta muraria con scarpata e ingressi fortificati. Subì, per mano dei pavesi, assalti e distruzioni a più riprese dal 1199 al 1276 e l’ultima nel 1313 per mano dei Visconti. Passò per le mani di varie famiglie: Arcelli, Visconti, Piccinino, Sforza, Zandemaria nel 1691. Questi ultimi trasformarono il castello in una lussuosa dimora corredata di una pinacoteca con 240 opere di pittori di fama quali Correggio e Guido Reni. Risale al 1875 l’atto di vendita al comune per la cifra di lire 80.000. Il Castello, completamente edificato in laterizio è una costruzione a base quadrangolare con cortile interno e due torri a base rettangolare negli spigoli nord-est e sud-ovest. Circondato da un profondo fossato che poteva essere riempito d’acqua all’occorrenza, con due accessi con ponte levatoio oggi sostituiti da ponti in muratura ad arco acuto. L’esterno, ingentilito da una decorazione a dente di sega di stile trecentesco, si presenta abbastanza integro anche se si possono notare i merli murati e modifiche nelle aperture. L’interno è stato fortemente rimaneggiato nel XVIII secolo per adeguarlo alle esigenze di una dimora signorile, con la costruzione nel cortile di un loggiato a tre ordini, a quattro e tre fornici e la grande scala a doppia rampa.

La Rocca e il Castello a Castell'Arquato

Il fascino scenografico delle costruzioni medioevali

La Rocca di Castell'ArquatoLa Rocca Viscontea è il fortilizio di Castell’Arquato ed è posto nella parte alta del paese, dove domina la Val d’Arda dai suoi 224 metri d’altezza. Fu eretta dal Comune di Piacenza tra il 1342 e il 1349 sulle fondamenta di una preesistente struttura romana (Castrum Arquatum risalente alla fine del III secolo o inizio del II a.C.). La sua costruzione, sotto Luchino Visconti, è realizzata in modo organico e in breve tempo dona al complesso una coerenza stilistica notevole, che unita all’eleganza del progetto e alla posizione elevata e scoscesa rendono la Rocca veramente scenografica. Della costruzione originaria rimane la struttura esterna, quasi completamente svuotata, le murature sono realizzate con corsi alternati di laterizio e pietra. Le mura, sormontate da merli ghibellini, delimitano uno spazio rettangolare, con torrette negli angoli, raccordato da un più piccolo cortile con il mastio, un torrione alto 35 metri, posto nella parte superiore dell’insediamento. La Rocca, su fondazioni precedenti, era la sede della guarnigione militare ed è costituita da un impianto planimetrico quadrangolare con quattro torri quadrate poste ai vertici e circondata da un fossato solcato da due ingressi; accanto vi domina il mastio. Torri e cortine sono rigorosamente a filo, cioè prive di apparato a sporgere, non fu infatti adeguata a nuove tecniche di difesa. Il mastio, o torre principale, non è a caso l’unica articolata su quattro lati, a differenza delle altre “a scudo”, ossia su tre lati per permettere il controllo della guarnigione. La Rocca ospita il museo di vita medioevale.
La costruzione del Palazzo del Podestà fu voluta da Alberto Scotti nel 1292. Il Palazzo fu successivamente sede del governo del Podestà e abitazione del conte di Santa Fiora; dalla fine del Cinquecento fino al 1850 fu sede della pretura. La parte duecentesca dell’edificio, interamente realizzato con mattoni in cotto, è il blocco di tre piani costellato da merli a coda di rondine. La scala, i pilastrini e la tettoia esterna sono aggiunte quattrocentesche. In mezzo alle finestre è affrescato lo stemma della Communitas Castri Arquati con due leoni controrampanti e un castello merlato. Verso il lato corto dell’edificio si trova la Loggia dei Notari, oggi sede dell’Ufficio Informazioni turistiche, sormontata da una loggetta ad angolo detta “delle grida” perché da qui venivano proclamati gli editti comunali. Una torre con due orologi, uno affacciato alla piazza e uno al borgo, sovrasta il tutto. All’interno, nella grande sala consigliare, è possibile ammirare il soffitto a cassettoni completamente dipinto. Il Palazzo del Podestà non è solitamente aperto al pubblico, ma è spesso sede di mostre (pittura, scultura, fotografia, presepi). Il Torrione Farnese fatto erigere tra il 1527 e il 1535 da Bosia II di Santa Fiora, fu ultimato nel 1570 da Sforza. Realizzato in cotto, è un imponente edificio a pianta quadrata con quattro baluardi agli angoli, che fungeva da avamposto contro le armate nemiche. Alto 20 metri, all’interno presenta cinque livelli, costituiti da una stanza quadrata per piano e collegati da una spettacolare scala elicoidale, che riporta agli schemi architettonici di Michelangelo e del Vignola. Attualmente è sede della Scuola d’Arme Gens Innominabilis di Castell’Arquato che si dedica allo studio e alla pratica delle tecniche di combattimento medievali. Al secondo piano, arredato come una sala riunioni-conviviale dei cavalieri, si trova un camino del Cinquecento. Il Palazzo del Duca fu costruito nel 1292 da Alberto Scoto come Palazzo di Giustizia ma deve la sua denominazione al fatto che fu, nella prima metà del Seicento, la residenza dei duchi Sforza. Al di sotto del Palazzo si trovano le Fontane del Duca con otto bocche in bronzo a forma di testa di animale. Di fianco alle cannelle c’era una lavatoio dove le donne potevano fare il bagno ai bambini e fare il bucato,
mentre era proibito portare gli animali ad abbeverarsi per non deturpare la purezza dell’acqua.

Il Castello di Castelnovo Val Tidone

Una fortificazione che domina la Vallata

Il Castello di Castelnovo Val TIdoneIl Castello di Castelnovo è una fortificazione situata in posizione dominante sopra l’abitato, si trova nella bassa Val Tidone, sul percorso della ex Strada Statale 412 della Val Tidone. Una fortificazione risalente all’inizio del XII secolo era ubicata poco più a sud di quella attuale. Nell’anno 1215 le milizie dei Pavesi, che avevano passato il Po ad Arena Po, non potendo espugnare la città di Borgonovo, presidiata da notevoli forze, si diressero verso Castelnovo attaccando il Castello che venne incendiato e distrutto. Nel 1242 il Castello subisce un nuovo attacco e saccheggio ad opera di re Enzo, figlio di Federico II di Svevia. Il castello fu ricostruito intorno al 1350 nell’attuale posizione, assumendo le caratteristiche in buona parte visibili ancora oggi. Nel 1412 Filippo Maria Visconti concede a Bartolomeo e Filippo Arcelli ampi territori, tra i quali Castelnovo, dando il via alla contea della Val Tidone. Nel 1575 il Castello di Castelnovo passa in possesso ai conti Dal Pozzo. Costruito quasi interamente in laterizio, ha forma trapezoidale con tre torri rotonde negli angoli (manca quella a sud). Sul lato maggiore è posto l’ingresso, con ponte levatoio sormontato da una bassa torre rettangolare merlata. Restaurato nel 1936 è mantenuto in ottime condizioni. Il grande parco che circonda il Castello venne risistemato nella seconda metà del 1800.

Il Castello di Gropparello

Sede del primo Parco Emotivo Italiano

Il Castello di GropparelloIl Castello è stato edificato sulla sede di un castrum romano, posto a difesa della via per Velleia. Nell’808 Carlo Magno assegna la giurisdizione sui terreni posti fra il Chero, il Riglio e il Vezzeno al vescovo Giuliano II di Piacenza. Fu al centro di una controversia tra il Capitolo della Cattedrale e la Mensa Vescovile e nell’840 fu assegnato a quest’ultima da Seufredo II, allora vescovo di Piacenza. Nel medioevo il Castello è terreno di scontro tra Guelfi e Ghibellini rappresentando l’unica roccaforte guelfa nel territorio piacentino, e passa per le mani di molte famiglie: Fulgosio, Borri, Anguissola. Nel 1255 venne assediato e conquistato da Azzo Guidoboi per Oberto II Pallavicino che lo riassediò nel 1260 senza riuscire a prenderlo. Nel XIV secolo la famiglia Fulgosi viene riportata come unica feudataria della roccaforte, che nel 1464 viene ceduta a Galeazzo Campofregoso e nel 1508 passa al milanese Carlo Borri. Nel 1599 Ranuccio I Farnese diviene proprietario del castello ed idea un titolo ereditario (“conte di Gropparello”) che viene donato alla famiglia Anguissola, che ne terrà il dominio fino all’inizio del XIX secolo.
Pur se composto di parti risalenti a epoche diverse il Castello di Gropparello ha l’aspetto compatto della roccaforte con doppia cinta muraria merlata, cortile, torri, torrione d’ingresso con doppio ponte levatoio (uno pedonale e uno carrabile), mastio, camminamenti di ronda scavati nella roccia. Di forma irregolare, le mura seguono il profilo scosceso dello sperone roccioso a picco sul torrente Vezzeno. La parte più antica del Castello è la torre, a base quadrata, costruita proprio sulla sommità della rupe che, permettendo una visuale sulla valle fino a Piacenza, ne costituiva il luogo ideale per una torre di guardia a sorveglianza di possibili arrivi di eserciti nemici dalla pianura padana. Alla base della torre era scavata una cisterna per la raccolta dell’acqua, indispensabile per resistere a lunghi assedi. Il mastio risale all’XI secolo, il corpo di guardia al XIV, le parti residenziali al XVI. Nel parco che circonda il Castello è stato aperto il primo Parco Emotivo Italiano dove i bambini, accompagnati da animatori, possono andare alla scoperta delle fiabe e dei miti nordici. Nel 1869 viene acquistato dal conte Ludovico Marazzani-Visconti che affida il restauro all’architetto Camillo Guidotti, che con lo stile dell’epoca aggiunge strutture neogotiche ed apertura di finestre nel mastio. Con successivi passaggi arriva alla famiglia Gibelli che lo apre al pubblico.

Il Mastio ed il Borgo di Vigoleno

Vanta la "bandiera arancione" del Touring Club Italiano

Il Borgo di VigolenoIl Castello di Vigoleno è un imponente complesso fortificato nel comune di Vernasca. Posto sul crinale tra la Valle dell’Ongina e quella dello Stirone su un rilievo di non elevata altezza domina le colline circostanti. Pervenutoci fortunatamente intatto in tutte le sue parti, è un esempio di Borgo fortificato medievale di particolare bellezza. La sua fondazione risale al X secolo ma la prima data documentata è il 1141 quando era avamposto, sulla strada per Parma, del Comune di Piacenza. Il possesso passò per molte mani, principalmente fu della famiglia Scotti, vide i Pallavicino, i Farnese, e venne più volte distrutto e ricostruito. Nel 1922 la principessa Ruspoli Gramont lo fece restaurare e ne fece sede di incontri mondani, passarono tra le sue mura Gabriele D’Annunzio, l’attore Douglas Fairbanks, Max Ernst, Alexandre lacovleff, Jean Cocteau, la diva del cinema Mary Pickford, la scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein. Nei primi anni’80 fu teatro di parte delle riprese del film Lady Hawke di Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer. Il Castello è completamente circondato dalla cinta muraria merlata, che è interamente percorribile sull’antico cammino di ronda. Ha un unico accesso attraverso un rivellino, dalla particolare forma tondeggiante, che proteggeva il vero portale d’ingresso. Il cuore del Borgo è la piazza con fontana centrale su cui si affacciano: il mastio, la parte residenziale del Castello, l’oratorio e la cisterna. Il paese prosegue con un piccolo gruppo di case strette intorno alla Pieve di San Giorgio. Sul lato est, tra le abitazioni e le mura si trova un giardino. Il mastio ha un imponente torrione di pianta quadrangolare con feritoie, beccatelli e merli ghibellini. Ospita sale museali con documenti storici e fotografici. Un camminamento di ronda lo collega alla seconda torre e da qui alla parte residenziale. Posta sul lato sud di una torretta affacciata sulla piazza porta la data del 1746. Fa parte del circuito dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza, del Club de I Borghi più belli d’Italia ed è stato insignito della Bandiera arancione del Touring Club Italiano.

Il Castello di Paderna a Pontenure

Da diversi anni ospita la rassegna "Frutti Antichi"

Il Castello di PadernaII Castello di Paderna è un complesso fortificato che si trova in pianura nella campagna della bassa val Nure nel comune di Pontenure. La prima testimonianza certa dell’esistenza del Castello è un atto notarile d’acquisto datato 1028, un altro atto del 1163 che ne attesta la proprietà al Monastero di San Savino in Piacenza, mantenuta fino al 1453 quando venne ceduto alla famiglia riminese dei Marazzani che la mantenne nei secoli fino agli attuali proprietari Pettorelli, loro discendenti. Subisce pesanti distruzioni nel 1216 a causa dei pavesi e parmigiani e nel 1247 dalle truppe dell’imperatore Federico II, per riparare le quali, l’abate provvede nel 1280 alle opere ricostruzione e al rialzo della torre. Complesso fortemente articolato, di pianta trapezoidale, è completamente circondato dalle mura, a cui sono addossati gli edifici, e da un ampio fossato ancora oggi colmo d’acqua. Risulta diviso in due settori separati da un muro. Uno a sud con un grande piazzale circondato dagli annessi agricoli: scuderie, fienili, porticati e abitazioni dei braccianti. L’altro a nord, a sua volta suddiviso in due cortili: uno con la residenza signorile, il pozzo, il torrione maggiore e altre abitazioni; l’altro con la cappella e l’edificio attraverso a cui si accede al giardino. L’accesso, sul lato sud è protetto da un massiccio dongione che porta gli incassi dei due ponti levatoi, uno per il passaggio pedonale e l’altro per i carriaggi. Le torri, tutte a base quadrangolare ma di forma e dimensioni diverse, sono quattro distribuite lungo le mura in modo irregolare. Insolita la collocazione della torre nord posta fuori le mura ma all’interno del fossato. La parte più antica è l’Oratorio dedicato a Santa Maria, inglobata in un secondo tempo nel palazzo residenziale. Risalente all’alto medioevo presenta una originale pianta a croce greca, divisa in nove campate coperte da voltini. Quattro sottili colonne in pietra con capitelli e pulvini di fattura differente dividono le campate. La muratura è in ciottoli legati con malta, differente dalle altre costruzioni che sono tutte in laterizio. Il Castello, che è visitabile il sabato da maggio a ottobre o su prenotazione negli altri giorni, ospita da una decina d’anni la rassegna “Frutti antichi” dedicata alle varietà di piante, fiori e frutti che rischiano di scomparire.

Il Castello di Rivalta a Gazzola

Come ogni Castello che si rispetti, ospita il suo fantasma. Anzi, due.

Il Castello di RivaltaIl Castello di Rivalta è un imponente complesso fortificato che si trova a Rivalta, frazione del comune di Gazzola. Posto su una ripida scarpata prospiciente la riva del fiume Trebbia, ha una posizione di poco elevata ma che consente un’ampia panoramica sul greto e la campagna circostante. Il Castello di Rivalta e quello di Statto, insieme ai Castelli di Montechiaro e di Rivergaro (posti sull’altra sponda) controllavano l’accesso alla Val Trebbia del Caminus Genue, un tempo importante via di comunicazione con il Genovesato e quindi il mare. La prima testimonianza scritta sul Castello è un atto di acquisto risalente al 1025. Nel 1048 l’imperatore Enrico II lo dona al Monastero di San Savino di Piacenza. Nel XII secolo era sotto giurisdizione dei Malaspina-Cybo, che dominavano i territori dalla Lunigiana fino alla Valle Staffora e nel 1255 Oberto Pallavicino, podestà di Piacenza, ordinò la distruzione di questo e degli altri presidi dei Malaspina. Nel primo decennio del XIV secolo i Ripalta lo cedettero a Obizzo Landi e da allora fino a oggi, tranne brevi interruzioni, rimase possesso della famiglia Landi i quali lo trasformarono in una sontuosa residenza. Molti gli eventi bellici che coinvolsero il Castello: nel 1636 l’assedio da parte di 6000 soldati spagnoli guidati dal generale Gil De Has, nel 1746 il saccheggio da parte dei soldati tedeschi del generale Berenklau, nel 1799 di quelli francesi del generale MacDonald. Il Borgo di Rivalta è un complesso fortificato composto, oltre che edifici destinati a botteghe e abitazioni, da un dongione d’ingresso (di pianta quadrata alto 36 metri) edificato in mattoni e ciottoli, che porta i segni dei colpi di artiglieria subiti nei molti assedi e dall’ingresso con arco a sesto acuto, dalla torre sud, di forma semicircolare. La cinta muraria comprende un’altra torretta nell’angolo nord-est e un alto terrapieno che difende il complesso lungo il greto del fiume. Ha planimetria quadrangolare, con un cortile interno circondato da un doppio ordine di logge. In un angolo svetta una torre cilindrica sovrastata da un torrellino di fattura particolare, è l’elemento caratteristico del complesso essendo totalmente dissimile dalle altre torri del piacentino. Nella seconda metà del XV secolo l’architetto Guiniforte Solari di Milano modificò la struttura per adeguarla alle esigenze della nascente artiglieria e trasformò la residenza aggiungendo la torre, il salone d’onore e l’elegante cortile porticato. Ai rimaneggiamenti settecenteschi appartengono lo scalone e la facciata che porta nel timpano triangolare con la scritta Svevo Sanguine Laeta. I saloni sono stati affrescati da Paolo Borroni di Voghera e da Filippo Comerio nel 1780 e al suo interno ospita il Museo Permanente del Costume Militare e il Museo Parrocchiale. Come ogni castello degno di questo nome anche Rivalta ha il suo fantasma, anzi ne ha due. Uno è quello di Pietro Zanardi Landi, assassinato per rivalità legate all’eredità, che sembra abbia perseguitato gli eredi fraudolenti fino al 1890 e sia tornato quando un ignaro erede sbagliato si è fermato nel Castello. L’altro è il fantasma del cuoco Giuseppe, ucciso nel settecento per vendetta dal maggiordomo a cui aveva insidiato la moglie, si manifesta spegnendo le luci e spostando gli oggetti. Il Castello fa parte del circuito dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza. Il Borgo ospita abitazioni private, ristoranti e taverne.

Rocca d'Olgisio a Pianello Val Tidone

"Arx impavida" da non perdere

La Rocca d’Olgisio è un imponente complesso fortificato posto su di una rupe scoscesa a cavallo tra la Val Tidone e la Val Chiarone nel comune di Pianello Val Tidone. È situato su un ripido crinale a 564 metri di altezza che, pur non essendo in sé una gran altitudine, in questa zona appenninica di non elevati rilievi permette una vista panoramica sulla Pianura Padana e le valli circostanti. La tradizione vuole che il Castello appartenesse all’inizio del V secolo a un nobile di nome Giovannato. Le prime notizie certe che ci sono pervenute risalgono al 1037 quando Giovanni (canonico nella cattedrale di Piacenza) cedette la proprietà ai monaci di San Savino, che la mantennero fino al 1296. Per un centinaio d’anni si succedettero vari proprietari fino al 1378 quando Galeazzo Visconti assegnò la Rocca e il feudo a Jacopo Dal Verme, famoso capitano di ventura di origine veronese. I Dal Verme la mantennero, con vari periodi di interruzione, fino all’estinzione della famiglia nel XIX secolo. Con vari passaggi di mano, durante i quali venne completamente depredata degli arredi, arrivò nel 1979 alla famiglia Bengalli che ha provveduto alla ristrutturazione e al ripristino dell’antico splendore. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu sede del comando della II divisione partigiana di Piacenza e per questo motivo venne fatta oggetto di tiri di artiglieria e attacchi da parte delle truppe tedesche presenti nella zona. Tre cinte murarie, di cui l’ultima costruita nell’Ottocento, circondano il complesso di fabbricati di epoche diverse a cui si accede attraverso due ingressi. Sullo stipite del portone che permette l’ingresso dalla terza cinta muraria nel cortile è scolpito il motto Arx impavida (fortezza impavida ovvero fortezza che nulla teme), questo accesso era dotato fino all’inizio dell’Ottocento di ponte levatoio e protetto da un’inferriata a saracinesca. All’interno del cortile è situato il pozzo, profondo una cinquantina di metri su cui insistono leggende di passaggi segreti e vie di fuga dal Castello. Nel complesso, che è molto articolato, possiamo vedere: l’oratorio, la torre della campana, il mastio con saloni affrescati e un loggiato di vedetta cinquecentesco. All’esterno, poco oltre le cinte di mura, vi sono alcune grotte che ospitavano una necropoli preistorica, sono legate ad avvenimenti leggendari e sacri: la grotta delle Sante (Faustina e Liberata), dei Coscritti e del Cipresso.  La Rocca fa parte del circuito dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza ed è visitabile da aprile a ottobre nei giorni festivi, in altre date è aperta per visite guidate su prenotazione. 

La Rocca e il Castello di Agazzano

Il fascino di un luogo perduto nel tempo passato

Il Castello di AgazzanoLa località di Agazzano assume importanza verso il XIII secolo come piazza mercatale e piccola capitale dei feudi della famiglia Scotti. Famiglia che con alterne vicende perse e riconquistò il Castello più volte nei secoli turbolenti del Rinascimento, ma che riuscì a tramandarne il possesso fino all’attuale proprietaria la principessa Luisa Gonzaga nata Anguissola-Scotti. L’aspetto attuale della Rocca risale al 1475 con la riedificazione, avvenuta su strutture preesistenti, per mano della stessa famiglia Scotti. Si presenta come una costruzione compatta, massiccia e solida, con muri in pietra aggettanti sino a metà altezza, dove sono segnati da un marcapiano, e poche aperture poste in alto, in corrispondenza del cammino di ronda. Ha pianta quadrangolare con due torri rotonde sulla facciata d’ingresso. L’accesso è permesso sui due lati opposti, dall’esterno attraverso un rivellino che porta ancora gli scassi del ponte levatoio, oggi ponte in muratura, e sul lato opposto da un altro rivellino che ora dà accesso al palazzo residenziale dove un tempo si trovava un’altra parte del Castello. Dal rivellino, attraverso quello che era il secondo ponte levatoio, passando sotto il dongione d’ingresso si accede al cortile interno con due rampe di scale che portano al cammino di ronda, coperto su tre lati da un elegante loggiato ingentilito con colonne i cui capitelli portano stemmi nobiliari. Chiude il cortile il corpo di fabbrica tardo rinascimentale che ospitava, oltre gli alloggi militari, saloni con camini e cucine. Posto a fianco della Rocca, staccato una decina di metri, il Palazzo Residenziale fu costruito sul finire del XVIII secolo sulle fondazioni dell’antico Castello, che esisteva ancora nel 1740. Della preesistente costruzione il Palazzo ha mantenuto parte dei perimetri ed una torre quadrangolare sullo spigolo nord. Ha pianta a forma di U aperta verso il paese. I suoi grandi saloni dai soffitti affrescati ospitano lussuosi arredi. Gli edifici sono circondati da un giardino, delle mura di cinta rimangono pochi tratti in concomitanza dei punti di dislivello del terreno. Fa parte del circuito Associazione dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza ed è visitabile su prenotazione.

Il Castello di San Pietro in Cerro

Un autentico gioiello del Quattrocento

Il Castello di San Pietro in CerroII Castello di San Pietro in Cerro è un complesso fortificato che si trova nell’omonimo Comune posto in pianura nella campagna della bassa Val d’Arda, in posizione equidistante dalle città di Piacenza e Cremona. Esso fa parte del circuito Associazione dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza. La data di costruzione, il 1491, è testimoniata dall’epigrafe in pietra posta nel cortile, probabilmente edificato sui resti di uno più antico del XIII secolo testimoniato dalle tracce di un fossato e un rivellino; la località era un avamposto piacentino contro le scorrerie dei cremonesi. Fu costruito da Bartolomeo Barattieri, figlio di Francesco studioso del diritto e ambasciatore, che acquistò il feudo nel 1446 da Bianca Maria Visconti, vedova di Francesco Sforza. La famiglia Barattieri, che risiedeva a Piacenza, mantenne il possesso del Castello (usato come residenza di campagna) per quasi cinquecento anni. Costruito interamente in laterizio ha pianta quadrangolare con cortile interno, ingentilito da un doppio loggiato quattrocentesco. Due snelle torrette cilindriche sporgono dagli spigoli del lato nord, l’ingresso è protetto dal mastio che porta i segni delle bolzoni del ponte levatoio ed è aperto verso sud, preceduto da un viale alberato. Particolare è la chiusura con ventiere (sportelli in legno basculanti) delle aperture della fascia superiore delle mura. Il fatto di non essere la residenza principale ha fatto sì che il Castello sia arrivato ai nostri giorni ben conservato e con poche modifiche. La trasformazione in residenza ha portato al riempimento del fossato per far posto al giardino e all’apertura di finestre sulle facciate. All’interno i saloni affrescati, con soffitti a cassettone, ospitano lussuosi arredi. Gli spazi del sottotetto ospitano un’esposizione Museum in Motion con opere di pittura e scultura del secondo dopoguerra di artisti italiani ed internazionali con una particolare attenzione per gli artisti piacentini.

Il Castello di Sarmato

Eretto in posizione strategica tra la via Emilia Pavese e la via Francigena

Il Castello di SarmatoIl Castello di Sarmato è un ampio complesso fortificato sito nel paese omonimo, nella bassa Val Tidone. Forse fondato dai barbari Sarmati, sicuramente presidio Longobardo il Castello di Sarmato venne eretto intorno all’anno Mille. Posto nei pressi dell’incrocio di due percorsi: la via Emilia Pavese e la via Francigena, era un importante avamposto, insieme Castel San Giovanni e Borgonovo Val Tidone, nella funzione strategica di difesa dei territori piacentini (guelfi) dai pavesi (ghibellini). La prima data certa è il 1216 quando qui si radunarono le milizie milanesi e piacentine che conquistarono le fortificazioni ghibelline sulle alture nei pressi di Rovescala. Molti furono, in quei secoli turbolenti i passaggi di mano: dai Pallastrelli agli Arcelli, dai Seccamelica agli Scotti, fino ai conti Zanardi Landi di Veano, attuali proprietari che hanno iniziato un lavoro di graduale recupero e valorizzazione. Il complesso interamente edificato in laterizio è circondato da mura, ancora ben evidenti anche se recano in parte i segni del tempo, che erano contornate da un fossato. Racchiudono un piccolo Borgo di pianta rettangolare, che si articola in due strade perpendicolari, con abitazioni, l’Oratorio di San Carlo Borromeo, il Castello, la Rocchetta, cui si accedeva tramite ponte levatoio, di cui si vedono ancora chiaramente i cardini. L’ingresso principale è a sud, protetto da un rivellino merlato con due archi, uno per il passaggio pedonale e l’altro, a sesto acuto, per quello carrabile che erano dotati di ponte levatoio. Gli altri due contrafforti fortificati si trovano uno ad est (ospita il Municipio) e l’altro ad ovest chiamato la Rocchetta (era sede della guarnigione militare). Rivolto verso nord, a difesa del piacentino dalle incursioni lombarde, si affaccia sull’antico letto del Po. Ha pianta a forma di U ed è il risultato di ampliamenti del mastio costruito nel XIII secolo su una preesistente torre longobarda. Ampliato e trasformato in residenza signorile dai conti Scotti Douglas prima e dai conti Zanardi Landi è dotato di un parco all’italiana racchiuso all’interno delle mura. Il corpo di fabbrica è affiancato da una torretta di segnalezione a base pentagonale irregolare, che costituisce un unicum nell’architettura difensiva del Ducato di Parma e Piacenza. All’ingresso dell’abitato di Sarmato vi è una piccola costruzione chiamata “il Casino“, era l’antico ospitale dei pellegrini che transitavano sulla via Francigena. Costruito sull’incrocio tra la via Romea e la strada che conduce al Po dove, in località Veratto, vi era il porto che traghettava i pellegrini in alternativa al Guado di Sigerico nella vicina Calendasco.

CURIOSITÀ

Aloisa: il fantasma di Grazzano

Aloisa

Non c’è Castello che si rispetti senza fantasma: quello di Grazzano è di sesso femminile. Risponde al nome di Aloisa. Piccoletta, in carne, le braccia conserte al petto, dal suo basamento posto nei pressi della piazza del Biscione occhieggia oggi verso i turisti. Le sembianze della statua che la raffígura sono fedeli al ritratto che fece di sé, guidando la mano di un medium nel corso di una seduta spiritica. Narrò naturalmente la propria storia, che gli abitanti del borgo si tramandano: sposa ad un Capitano di Milizia, perì di gelosia in seguito al tradimento del marito, e da allora vaga per il Castello e il parco. Di notte – così dice la storia che viene tramandata – si rifugia tra la mura del castello e si comporta in maniera assai manesca, tirando i piedi e schiaffeggiando gli ospiti, a meno che questi le facciano dei doni, appendendo alla statua, posta in una delle stanze, collane e monili, che ne appaghino la vanítà di spettro femminile.
In questi ultimi anni l’Aloisa è assurta agli onori della cronaca anche come protettrice degli innamorati, una specie di San Valentino in gonnella. Messaggi riconoscenti e omaggi floreali giungono infatti con frequenza all’effigie di Aloisa, da diverse parti d’Italia.

Velleia Romana: il segreto
della longevità

Velleia Romana

La presenza di acque saline nel territorio, insieme alla tranquillità del luogo, in passato fece di Velleia Romana una meta prediletta di villeggiatura per vari consoli e proconsoli provenienti da Roma, illudendosi forse di poter allungare la loro vita. Infatti era noto che tra la popolazione di Velleia, come è confermato nell’ultimo censimento dell’imperatore Vespasiano (72 d.C.), vivevano 6 persone di 110 anni, 4 di 120, per non dimenticare poi Marcus Mutius Marci filius Galerius Felix di …140! Eran forse le acque benefiche, o forse l’aria salubre, o la serenità del paesaggio oppure il buon vino, di cui ne aveva parlato anche Cicerone, a favorire questa eccezionale longevità a Velleia? Purtroppo l’enigma non è mai stato risolto.

Lady Hawke a Castell'Arquato

locandina del film Lady Hawke

A metà degli anni ’80 Castell’Arquato fu una delle location italiane scelte per dare vita ad una pellicola cinematografica che ancora oggi è riproposta in televisione: Lady Hawke. Il paese, con la sua splendida piazza in particolare, divenne un grande set a cielo aperto, una parte della popolazione fu coinvolta svolgendo ruoli di comparse. Il romantico film “fantasy” con la regia di Richard Donner uscì esattamente nel 1985 e tra gli attori ricordiamo la bellissima Michelle Pfeiffer (Isabeau d’Anjou), Rutger Hauer (Capitano Etienne Navarre) e Mattew Broderick (Philippe Gaston).

dormire (e mangiare)
al Castello di Gropparello

Se sei una persona romantica oppure ti senti un piccolo esploratore d’altri tempi, c’è un’esperienza davvero unica e suggestiva che non scorderai mai: dormire nel Castello di Gropparello.
L’antica Torre del Barbagianni, affacciata sulla corte del Castello, è stata trasformata in un’affascinante suite di 50 metri quadrati (può ospitare fino a 4 persone). Sprofondare nel letto a baldacchino della stanza ti farà nuovamente credere nell’esistenza delle fiabe! Quando la notte scende sul Castello, il portone del ponte levatoio viene sprangato. Ed è allora che la magia si mescola alle leggende.
E poi quante volte ti capiterà di fare colazione nell’antica sala di un Castello, preparata appositamente per te? Fiori e prelibatezze imbandiranno un tavolone che, sicurmente, avrebbe voluto raccontare tantissime storie curiose.

Non c’è migliore location, per soddisfare l’appetito che viene dopo la visita all’edificio, della Taverna del Castello di Gropparello. Il ristorante è solitamente aperto nel weekend o su prenotazione e, in un contesto davvero scenografico e romantico, propone una cucina che è un mix tra tradizione ed innovazione. Spesso gli ingredienti sono acquistati direttamente dai produttori locali e il menu, che mette l’acquolina in bocca solo a leggerlo, cambia durante le stagioni.

Il Vin Santo di Vigoleno

Le uve per il Vin Santo di Vigoleno

Il Borgo di Vigoleno è celebre anche per il suo pregiato Vin Santo, che prende nome dal periodo in cui anticamente si pigiava l’uva: la Settimana Santa. Le aromatiche uve bianche di cui è composto sono: Santa Maria, Melara, Bervedino, Coda di Volpe, Marsanne, Ortrugo, Sauvignon. Questo particolare vino è uno dei DOC più piccoli d’Italia con una produzione sui 1500 litri all’anno. Il Vin Santo di Vigoleno viene prodotto seguendo un’antica tradizione: le tecniche attuali sono ancora quelle settecentesche tramandate oralmente di padre in figlio.
A determinare i pregevolissimi caratteri del Vin Santo di Vigoleno concorrono le caratteristiche particolari del terreno, l’esposizione, i vitigni che vengono impiegati e la tecnica di produzione.
Durante le fasi di vinificazione per il Vin Santo di Vigoleno è vietato l’uso di solfiti e delle filtrazioni, e l’invecchiamento deve essere almeno di 60 mesi di cui almeno 48 mesi in botti di legno. Tutte queste operazioni devono essere effettuate solamente nell’interno del territorio amministrativo del comune di Vernasca.

La rassegna "Frutti Antici"
al Castello di Paderna

La rassegna "Frutti antichi"

Agli inizi del mese di ottobre il Castello di Paderna diventa la favolosa cornice dell’ormai consueto appuntamento con Frutti Antichi. All’arrivo dell’autunno la manifestazione promossa dal FAI – Fondo Ambiente Italiano e realizzata in collaborazione con lo stesso Castello di Paderna e il Comitato FAI di Piacenza, celebrerà la terra e i suoi prodotti in un trionfo di colori e profumi. Da diversi anni, la manifestazione “Frutti Antichi: Rassegna di piante, fiori e frutti dimenticati” ha allargato la sua attenzione alla  flora e alla fauna minore presenti nella provincia di Piacenza, favorendone la conoscenza. Ogni anno il parco del Castello si trasforma in una variopinta fioritura di rose, ortensie, dalie, orchidee, i cortili propongono raffinate creazioni di artigianato artistico e la corte agricola diventa un grande mercato dove vivaisti, agricoltori, artigiani, metteranno in mostra i loro saperi antichi, i prodotti della terra e delle loro mani. Tante le mostre che si sono susseguite nel corso degli anni, tra cui la selezione di patate dal mondo, con oltre 300 varietà di rari e singolari esemplari; l’esposizione di fagioli biodiversi, il percorso relativo alle piante tessili e tintorie. Numerose anche le attività didattico-ricreative pensate per i più piccoli volte a sensibilizzarli e coinvolgerli direttamente nell’opera di protezione e tutela.

Il romanzo di Bianchina

Castello di Rivalta

Tra fatti storicamente documentati relativi al Castello di Rivalta e altri arricchiti da notizie fantasiose, vi è un evento che merita la nostra attenzione e che fu ripreso in un fortunato romanzo ottocentesco di Luigi Marzolini.
La vicenda racconta come i rapporti di reciproca stima e di lealtà tra la famiglia Landi e quella dei Visconti s’incrinarono improvvisamente. Tutto ebbe inizio nel 1322, quando feudatario di Rivalta era il summenzionato Obizzo Landi, detto “Verzuso”. Il prode soldato di fede ghibellina, grazie anche al sostegno dell’amico Galeazzo Visconti, si trovò a doversi schierare contro quest’ultimo per ragioni tutt‘altro che politiche. Pare infatti che le sempre più frequenti visite di Galeazzo a Rivalta fossero dovute al suo interesse, non tanto verso l’amico Obizzo, quanto per Bianchina, la bellissima moglie di quest’ultimo.
Un giorno mentre si trovava sola a Piacenza, ella ricevette un messaggio di Galeazzo che la invitava con urgenza a raggiungerlo. Le intenzioni dell’uomo apparvero subito chiare.
Bianchina, sostenuta dalla fedeltà verso il marito, agì con furbizia e si recò al galante appuntamento accompagnata da alcune dame di fiducia.
Galeazzo ricevette Bianchina nei suoi saloni traboccanti di simboli di potere e di ricchezza. Fece preparare un pantagruelico banchetto, che, alla penombra creata dalla luce tremula delle candele, faceva intravvedere recipienti colmi di cibo e caraffe traboccanti di vino della migliore qualità. Tutto ciò non lasciava certo dubbi sulle reali intenzioni dell’uomo nei confronti dell’amica, ma quella sera le sue aspettative furono deluse a causa dell’ingombrante presenza delle dame a seguito di Bianchina.
Tornata a Rivalta, la donna raccontò l’accaduto al marito, il quale, profondamente amareggiato per il comportamento dell’amico e protettore di un tempo, diede inizio a possenti lavori di fortificazione del proprio castello, nell’ipotesi di più rovinosi contrasti.
Galeazzo, acceso d’ira per l’onta subita, radunò i suoi soldati ed assediò le mura del castello di Rivalta, ben cosciente però di non avere nessuna possibilità di impadronirsi del robusto maniero con la forza. Cercò quindi di isolare gli assediati da ogni possibile rifornimento per costringerli ad arrendersi per fame.
Dopo undici settimane gli assediati dovettero arrendersi: le perdite furono ingenti anche per i vincitori, che lasciarono sul campo più di cinquanta uomini. Galeazzo ordinò la distruzione del castello. L’offesa patita da Obizzo gridava vendetta. Egli era riuscito fortunosamente a fuggire e si era diretto verso Asti dove, messo da parte il suo orgoglio ghibellino, si offrì come condottiero delle truppe del Cardinal Bertrando del Poggetto che mirava a conquistare proprio Piacenza, governata da Galeazzo Visconti.
Nell’Ottobre dello stesso 1322, Obizzo, al comando di un contingente di duecento cavalieri e quattrocento fanti, entrò in città sopraffacendo Galeazzo. Con questa vittoria era riuscito a sottrarre ai Visconti il dominio su Piacenza e ad essere eletto Governatore della città.
Come condottiero, il Landi continuò a prestare servizio al Pontefice difendendo le ragioni della Chiesa, finche morì nel 1328 a Bologna.

...e la leggenda
del cuoco Giuseppe

Il Castello di Rivalta

Più recente, ma sempre dall’origine tragica, l’altra presenza inspiegabile all’interno del Castello di Rivalta. Si tratta del cuoco Giuseppe, ucciso nel Settecento dal maggiordomo di cui aveva insidiato la moglie. Si manifesterebbe accendendo e spegnendo interruttori.
Negli anni Ottanta, durante una notte in cui era al Castello la principessa Margaret d’Inghilterra, Giuseppe si sarebbe divertito per oltre dieci minuti a mettere in funzione elettrodomestici e altre apparecchiature, spostando quadri e oggetti vari, soprattutto nell’ala del Castello affacciata sul Trebbia, dove si trovava la vecchia cucina. Il fantasma è stato studiato anche dall’equipe di Alessandro Cecchi Paone. Ogni tanto, quando la casa è particolarmente affollata, il cuoco Giuseppe torna a manifestarsi, sempre però in modo più scherzoso che terrificante.

I misteri custoditi nelle grotte
di Rocca d'Olgisio

Le grotte di Rocca d'Olgisio

I luoghi della Rocca d’Olgisio dove maggiormente si addensano i misteri sono senza dubbio le sue grotte, che durante le Età del Bronzo e del Ferro, circa duemilasettecento anni fa, ospitarono gli uomini preistorici che vi stabilirono delle abitazioni o le trasformarono in sedi religiose, lasciandovi alcune testimonianze della loro cultura materiale. In periodi più recenti le stesse grotte furono al centro di vicende storiche e leggendarie e si caricarono di un nuovo alone di mistero. Prima di tutte la cosiddetta Grotta delle Sante Sorelle Liberata e Faustina, a cui si accede tramite una scalinata scavata nella roccia affiancata da una serie di sedili litici che sembrano intagliati dalla mano dell’uomo.
È tuttavia verisimile credere che la grotta fosse un luogo di culto pagano molto prima che vi si recassero a pregare le due Sante Sorelle. Ma chi erano Liberata e Faustina? Si racconta che il fondatore della Rocca fu nel 550 un tale Giovannato, proveniente dal genovese, il quale, dopo una gioventù dedicata all’arte della guerra, venne a cercare pace e tranquillità in Val Tidone, portando con sé il pellegrino Marcello che aveva favorito la sua conversione al cristianesimo. Qui prese in moglie una brava ragazza del luogo, senza preoccuparsi troppo delle sue umili origini, che gli diede due figlie e morì prematuramente. Liberata e Faustina, affidate alle cure di una governante ed educate alla religione dal pio Marcello, crebbero belle e piene di virtù e si opposero ben presto ai propositi del padre che le voleva accasare per assicurarsi alleanze e una robusta discendenza. Quando potevano si ritiravano a pregare nella grotta e covavano il desiderio di diventare monache, finché un giorno, pare con la complicità di Marcello, presero con sé oro e gioielli e fuggirono a Como, dove fondarono un monastero dedicato a Sant’Ambrogio. A Como le due sorelle furono anche protagoniste di un eccezionale episodio prodigioso: un nobile della città, forse posseduto dal demonio, aveva crocifisso la moglie. Mentre questa stava ormai morendo intervenne Liberata che la salvò guarendo le sue gravi ferite. Lo stesso Giovannato, inizialmente contrario alla vocazione delle figlie, manifestò poi la sua comprensione paterna, fino a destinare gran parte delle sue ricchezze alla costruzione del monastero, dove le due sorelle abbracciarono la regola benedettina, che muoveva allora i primi passi. L’urna con i loro corpi si trova oggi sotto l’altare maggiore del Duomo di Como, mentre una reliquia, la tibia di Santa Liberata, fu traslata a Piacenza ed è ora conservata nella chiesa di Sant’Eufemia.
Alla leggenda delle due sante sono collegati altri elementi rivestiti di mistero che si trovano presso la Rocca d’Olgisio. Uno di essi è il pozzo che si trova nel cortile, che si dice scavato dal diavolo stesso quando, sotto le sembianze di un nobile cavaliere, aveva partecipato al torneo indetto da Giovannato per assegnare la mano di Liberata. Infatti le due sorelle avevano incontrato un giorno un corvo parlante, sotto le cui sembianze si celava il Maligno. Nel magnificare le gioie dell’amore terreno, il nero volatile aveva convinto le due giovani a chiedere al padre di emanare un bando per le loro nozze. Giovannato non si era fatto pregare e aveva proclamato che tra i pretendenti sarebbero stati scelti coloro che avessero portato in dote i gioielli più preziosi e dato prova del maggiore coraggio, battendo sul campo gli avversari. Al torneo si presentarono dodici cavalieri, a cui si aggiunse misteriosamente una presenza oscura che celava le sue sembianze dietro una veste nera e un elmo ben serrato.Il tredicesimo uomo si faceva chiamare principe di Montenero e i suoi gioielli brillavano più d’ogni altro, mentre il suo coraggio e la sua abilità non conoscevano rivali. Dopo essersi aggiudicato la vittoria in tutte le prove, Satana si stava accingendo a sposare la povera Liberata, quando Marcello, nella veste di celebrante, gli mostrò la Croce declamando In nomine Patris… A quelle parole il diavolo, dimenandosi tra fiamme e nubi di vapore, cercò di fuggire balzando sul suo cavallo, ma entrambi furono ingoiati dalla profonda voragine che si era aperta nel terreno con un lungo boato e che è ancora chiamata Pozzo del Diavolo. Inutile aggiungere che, dopo questo episodio, le due sorelle rinunciarono per sempre alla vita mondana e si ritirarono a pregare nella grotta che ha preso da loro il nome.

La bella Agata nel Castello
di San Pietro in Cerro

Castello di San Pietro in Cerro
Tanto, tanto tempo fa, presso la Corte dei Conti Barattieri nel Castello di San Pietro in Cerro, prestava servizio Agata, la più bella fanciulla mai vista in quelle terre. D’animo dolce e gentile, la bella Agata s’innamorò dello scudiero di corte e lui di lei, e i due giovani fissarono la data delle nozze. Ma uno dei Conti Barattieri, geloso della conquista dell’umile scudiero e forte della sua posizione nobiliare, decise che Agata doveva essere sua. Il giovane scudiero, visto distrutto il suo sogno d’amore, per vendicare l’offesa accoltellò notte tempo il vile Conte.
Quel gesto non gli fu perdonato: dopo un processo sommario, il ragazzo venne pubblicamente impiccato. Rimasta sola, distrutta dal dolore, Agata decise di raggiungere il suo innamorato gettandosi dalla torre del Castello. Sospeso in un amore mai consumato, il fantasma della bella Agata si aggira ancora oggi tra le mura, mostrando il suo triste sorriso a proprietari e a visitatori, ricordandoci con le sue pacifiche apparizioni che il vero amore non muore mai.